Una Piazza a Rosarno
Sabato pomeriggio, da poco passate le due, il caffè l’ho già bevuto; non troverò bar dove sto andando, ma mi riservo di fumare una sigaretta. Percorro qualche metro appena uscito da casa, giro l’angolo e mi dirigo verso quello sprazzo di cielo inquadrato dalle facciate di due vecchie palazzine popolari ormai riscattate. Lo scenario, oltre i tetti delle case, è quello tipico della Piana di Gioia Tauro: distese di agrumeti a perdita d’occhio guardano il mare, definiscono la linea smerlata dell’orizzonte; qualcosa di simile ad animali preistorici sembra muoversi in schiera verso nord, in realtà sono le gru che muovono i container del Porto di Gioia Tauro, ma detto così forse non è lo stesso paesaggio. Mettendo ben a fuoco e in condizioni climatiche favorevoli si può intravedere parte della Sicilia – si anche da qui, da una piazza di Rosarno – ma non oggi. Scelgo una panchina, tutte rivolte verso il quadro appena descritto, tutte disposte in alternanza ai lampioni, che, insieme al muretto di protezione, corrono lungo un lato maggiore del rettangolo: forma geometrica che il contesto urbano sembra aver imposto a questo luogo. Alle spalle, rimangono le facciate macchiate delle due palazzine, colorate da qualche lenzuolo steso, da qualche infisso verde, da qualcuno rosa, da qualche altro mancante. La pavimentazione è la medesima della strada che corre subito dietro: asfalto, fatta eccezione per i marciapiedi perimetrali, larghi poco più di due metri, quanto basta per ospitare aiuole, cespugli e qualche palma nana. È una piazza – garantisco – e garantisco anche che qualcuno fa difficoltà a riconoscerla come tale; forse per via della pavimentazione continua con la strada, forse per la sua posizione defilata nel tessuto urbano cittadino o magari perché questa piazza non ha un nome. Ho appena spento la mia sigaretta; il rumore di due spazzatrici della nettezza urbana invade la piazza dai lati corti: sono qui per ripulirla da scatoloni, buste di plastica sparse in terra e cassette di frutta accatastate contro una parete della palazzina. Questa mattina, qui, c’erano trecento persone, come ogni sabato mattina, da circa dieci anni. Questa mattina, questa, non era una piazza, era il mercato alimentare del paese. Per molti era Piazza Mercato. Ora rimane solitaria e desolata, quasi si stesse riposando, e fa riposare anche me. Mi piace pensare che si stia preparando a cambiare aspetto, e lo fa con una velocità disarmante; una serie di automobili si dispongono ordinatamente l’una accanto all’altra, come se rispettassero delle immaginarie strisce bianche. Oggi si gioca l’anticipo del campionato di pallacanestro, ore 15.00, teatro dell’evento: il vicino Palazzetto dello Sport. Era un mercato, poi una piazza, ora un parcheggio; e non mi va di stare seduto in un parcheggio, come a un’automobile non andrebbe di essere parcheggiata in un mercato. Tra qualche ora tornerà a essere piazza, o forse lo è sempre stata; adattandosi, silenziosamente, ad ogni destinazione d’uso che la collettività le ha assoggettato.
Michele Scriva (studente indaffarato)